Il venerdì, giorno fissato per il ricovero, mi sveglio prestissimo, ovviamente leggermente tesa e parto con netto anticipo, come mio solito in casi importanti, sennò mi viene l’ansia.
Veramente a me l’ansia viene con una certa facilità, anche quando devo andare alla posta.
Per fortuna, perché imbocco il raccordo dalla parte sbagliata.
In realtà poco male, perché mi trovo più o meno dalla parte opposta, però anche 10 km in meno buttali via, con quello che costa la benzina.
Dopo un paio di imprecazioni, risolvo, visto che poco più avanti c’è un’inversione di marcia.
A parte ciò, per il resto arrivo facilmente, traffico nullo (embè a quell’ora) ed indicazioni semplici e chiare.
Arrivo talmente presto che l’Ufficio ricoveri è ancora chiuso.
Quando apre chiedo, ma ignorano il mio nome, mi consigliano di attendere li.
Dopo circa mezz’ora comincio a dubitare e chiedo come mai non si faccia vivo nessuno.
“N’ se preoccupi, i dottori non saranno sicuramente ancora arrivati, avojaaa”.
Aspetto fino a quasi le nove, dopodiché aumentano i dubbi di aver capito male e chiedo se forse è il caso che mi rechi direttamente al reparto di chirurgia.
“Come vuole, faccia pure”.
Una telefonata da reparto a reparto no? Vabbè!
Mi reco a chirurgia dove la porta della corsia è chiusa, ma nell’anticamera c’è un paziente che sta parlando con i suoi parenti, moglie e figlia.
Sta raccontando di essere appena risalito dalla sala operatoria, dove era stato preparato, per fortuna non ancora sedato, in attesa dell’intervento.
Pare che il chirurgo si sia sentito male e non si sia presentato.
Chiedo il nome del chirurgo, guarda caso è anche il mio.
Ci guardiamo stupiti, chiediamo al personale infermieristico ed agli altri medici, ma nessuno sa darci notizie precise.
Non sappiamo se e a quando le nostre operazioni siano state rimandate, ci dicono solo “non mangiate, perché magari il professore arriverà, non si sa mai”.
Dopo un po’ si fa avanti un dottorino giovane, carino e gentile che si prende carico della mia persona.
Scherziamo un po’, mi accompagna nella mia stanza ed inizia a farmi le domande di routine, l’anamnesi.
Alla domanda malattie psichiatriche, chiedo se valgano i nervi, di quelli ne ho sempre in abbondanza, pare di no, ne soffrono in troppi, è la norma.
Poi preannuncia il “momento della paura”, l’elenco delle possibili complicanze nefaste dell’intervento:
a) Intaccamento delle corde vocali. Se ti dice particolarmente male resti afono.
b) Intaccamento delle paratiroidi, le ghiandole che regolano il livello del calcio. Se ti dice particolarmente male prendi la pasticca del calcio a vita.
Se firmi bene, se non firmi puoi andare a casa.
Penso di dover firmare. In caso di afonia, c’è giusto la mia amica Alex che può insegnarmi il linguaggio dei segni.
Nel frattempo mi accorgo che il dottorino somiglia al protagonista di Scrub.
Segue…
Il caos organizzato di Scrub almeno è divertente. Quello degli ospedali romani…genera facilmente un attacco di nervi. Però voglio spezzare una lancia a favore dei nostri medici: in genere sono bravi.
Non avrei mai pensato che si corressero rischi così seri in una operazione come la tua. Esiste un supporto alle decisioni, per i pazienti, nell’ospedale dove sei stata?
Te lo chiedo perché nel caso di mia madre, anch’io sono stato messo di fronte a una scelta del tipo accettare i rischi o riportarsela a casa: decisione da prendere in pochi minuti, ovviamente.
Ciao
Davide 🙂
Anche l’operazione più semplice presenta sempre dei rischi.
Che io sappia non esiste una consulenza vera e propria, però con me sono stati molto gentili, sia il dottore dell’anamnesi, che l’anestesista.
Mi hanno spiegato tutto.
Ma la decisione finale spetta comunque al paziente 😉